NON TUTTI GLI OTTIMISTI SONO IMBECILLI


Sono più di due mesi, ormai, che la nostra quotidianità è scandita dal confronto con una realtà che continua a destare apprensione ed inquietudine. L'epidemia di Covid 19 non è ancora debellata e, accanto alla speranza alimentata da un imminente passaggio dal lock-down alla tanto agognata fase 2, vive lo sconforto di fronte ad una futura recrudescenza del contagio o addirittura alla ripresa dell'epidemia nel prossimo autunno paventate da alcuni.
Le Cassandre dell'informazione ci dicono che non ci libereremo del problema se non tra qualche anno e che gli entusiasmi vanno smorzati. 
L'ottimismo viene bollato, spesso, come espressione di incoscienza.
Come già nel post precedente La Paura del Virus, cercherò di definire meglio il problema analizzando i numeri forniti dai canali ufficiali.
Nel post citato ho espresso l'idea che avremmo avuto piena coscienza della portata del problema soltanto nel tempo. 
Avevo accennato, per esempio, all'idea di confrontare l'incremento della mortalità prodotto dall'epidemia con i dati a nostra disposizione per gli anni precedenti. 
Dal sito dell'ISTAT rileviamo una costante differenza tra il numero di decessi osservato a gennaio (il mese del "picco influenzale") e a giugno, che in genere è superiore alle 20000 unità. 
I dati che ci fornisce il Dipartimento della Protezione Civile indicano che alla data del 1 maggio sono decedute complessivamente in Italia, per/con Covid 19,  poco più di 28200 persone. 
Questo ci spingerebbe a concludere per un impatto di scarso significato dell'epidemia, considerato che il tutto si è verificato in un arco di tempo poco superiore ai due mesi. 



Il dato numerico è stato sicuramente mitigato dalla politica di contenimento dell'epidemia operato dal distanziamento sociale prodotto con il cosiddetto lock-down. 
Va del resto tenuto conto che:
1 - nessuna campagna vaccinale preventiva è stata eseguita (ovviamente) essendo il SARS COV2 un agente morboso del tutto nuovo ed inaspettato;
2 - la novità della patologia in questione ha richiesto tempo per impostare dei protocolli di trattamento, non essendo disponibile una terapia specifica ed essendo gran parte delle terapie adottate ancora in fase di sperimentazione.
L'entusiasmo, però, si riduce quando andiamo ad analizzare gli stessi dati in un ambito più ristretto, Mi riferisco alla  regione italiana  più colpita dall'epidemia, la Lombardia.


Nel periodo 1 marzo - 30 aprile in Lombardia si sono verificati 13741 decessi per/con Covid 19. Nel corso del 2019 nella stessa regione in media sono decedute 8448 persone al mese con una differenza, tra gennaio e giugno, di 3411 unità. 
Dobbiamo pertanto ammettere che, a livello nazionale o locale, l'impatto dell'epidemia è stato notevolmente differente.
Volendo analizzare altri dati numerici ho voluto fotografare la situazione italiana in due date campione: quelle del 30 marzo e del 30 aprile.
Alla data del 30 marzo avevamo avuto complessivamente 101739 contagi ed i casi ancora "positivi" erano 75528. Di questi 27795 erano i soggetti ricoverati in strutture ospedaliere con 3981 ricoveri in Terapia Intensiva, quel giorno i morti sono stati 812. 
Al 30 aprile avevamo 205463 casi totali con 101551 ancora "positivi". I ricoverati erano 18149, in Terapia Intensiva 1694. I decessi quel giorno sono stati 285.






A qualcuno sarà venuto il mal di testa, ma i numeri ci indicano delle "verità":

1 - non possiamo mettere sullo stesso piano il dato nazionale con i dati locali e di ciò va tenuto conto per programmare la ripartenza;
2 - i dati più recenti alimentano un certo ottimismo ragionato che non è legato solamente a quello che ci suggerisce l'incremento della differenza tra i positivi ed i ricoverati (soprattutto quelli in terapia Intensiva).

Questi ultimi dati, in effetti,  risentono fino ad un certo punto delle azioni di "contenimento" imposte a livello istituzionale. 
Il merito maggiore va ai maggiori successi ottenuti da un punto di vista terapeutico e ad una migliore definizione dei protocolli d'intervento messi in atto da chi opera sul campo.
Il quadro che si presenterebbe adesso, qualora si verificasse il paventato aumento dei contagi,   non può essere paragonato a quello che si è manifestato il 20 febbraio, di fronte al primo caso italiano di Covid 19.
E' questo il motivo per cui l'ottimismo non deve essere bollato come espressione di incoscienza.
Da incoscienti sarebbe non tener conto che, in una situazione di emergenza come questa, si arriva ad un punto in cui il problema sanitario rischia di passare in secondo piano di fronte all'impatto economico e sociale che questa epidemia sta avendo.



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